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 Tiempos Modernos: Revista Electrónica de Historia Moderna > Vol. 4, No. 9 (2003) Portal Mundos Modernos | RedIRIS 

« IL MEDITERRANEO NAPOLEONICO. SPAZI, MERCI, IDEE »

LE VICENDE DEI TRAFFICI COLONIALI E L'ATTIVITA DI UN'IMPRESA MERCANTILE A CADICE NEL PERIODO DEL BLOCCO CONTINENTALE

Amedeo LEPORE

            L'esame degli avvenimenti che hanno interessato Cadice durante il blocco continentale può essere effettuato considerando un contesto temporale più esteso di quello legato ai provvedimenti restrittivi adottati da Napoleone nel 1806. In questo modo si riesce a cogliere da un unico punto di osservazione il panorama frastagliato di una fase decisiva di svolta per il principale centro commerciale spagnolo del Settecento. Nel periodo tra gli ultimi anni del XVIII secolo e il primo ventennio del XIX secolo, si osserva una complessiva ricollocazione della città sullo scenario interno ed europeo. Cadice, infatti, inizia il passaggio da una posizione di netta preminenza negli scambi con l'America e dal ruolo di cabecera del commercio coloniale, una vera e propria testa di ponte tra una sponda e l'altra dell'Atlantico, al ruolo più delimitato di centro dei traffici di livello nazionale, prima, ed esclusivamente regionale, poi. Questi eventi rappresentano anche simbolicamente la conclusione della parabola dell'Antico Regime spagnolo, con l'epilogo definitivo di una lunga epoca di predominio monopolistico, che attraverso il pacto colonial aveva consentito, in assenza di un tessuto industriale diffuso, l'afflusso di straordinarie ricchezze nella penisola iberica.[1] Non era il brusco risveglio di un paese precipitato da un regime di tipo imperiale al rango di nazione periferica, ma l'avvio di una difficile transizione da un'economia-mondo in cui l'attività commerciale aveva rappresentato l'anima delle relazioni tra il vecchio e il nuovo continente ad una fase dello sviluppo mondiale in cui ciascuno Stato avrebbe dovuto fare i conti fino in fondo con i problemi della modernizzazione industriale del proprio apparato produttivo e della competizione per la conquista di nuovi spazi di mercato.[2] La Spagna si sarebbe presentata a questo appuntamento attraverso una fase acuta di guerre, culminata con il blocco dei collegamenti commerciali con i territori d'oltreoceano e con l'emancipazione delle colonie americane. L'intero arco di tempo dei conflitti che videro protagonisti la Spagna, l'Inghilterra e la Francia - e non solo gli anni in cui ebbe concretamente effetto il «sistema continentale» napoleonico - è stato definito come il periodo della «guerra de los bloqueos».[3]

            Cadice, uno dei nuclei urbani più antichi dell'occidente, fin dalle sue origini aveva assunto il ruolo di città dedita all'attività mercantile. Affacciata sull'Atlantico e proiettata verso le più disparate rotte marittime, non rappresentava solo il margine estremo del continente europeo, il confine tra civiltà e mondi diversi che attraverso di essa entravano in relazione, ma era anche un punto di ritorno verso l'Europa e il Mediterraneo. Nel corso di tutta la sua storia la città andalusa aveva fatto della sua particolare dislocazione geografica e delle sue irripetibili condizioni ambientali una fonte straordinaria di sostentamento e di ricchezza. Il mare da cui è circondato questo sottile lembo di terra e che ne ha impedito l'espansione verso le aree interne della Spagna è divenuto il principale mezzo, se non l'esclusivo, per la realizzazione di un modello del tutto originale di sviluppo economico.[4] Quando, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, l'apparizione di una nuova nazione atlantica (gli Stati Uniti d'America), lo scontro con la più forte potenza marittima europea (l'Inghilterra) e la perdita dei possedimenti coloniali d'oltremare hanno aperto una nuova tappa del dominio sull'Atlantico, l'epoca del controllo anglo-americano,[5] Cadice è entrata nella fase più oscura della sua vicenda storica, avviandosi verso un profondo declino economico.

            L'oceano mite di Cadice non rassomigliava ancora al "mar delle Tenebre",[6] uno spazio marino insondabile e gravido di pericoli, ma costituiva, al tempo stesso, l'inizio della più importante via di commercio del pianeta, la Carrera de Indias, e l'estroflessione delle principali caratteristiche dell'altro mare europeo, il Mediterraneo. Infatti, la posizione favorevole della bahía gaditana, solcata da correnti marine propizie ed esposta al vento di prealisio, condizioni che spingevano naturalmente al viaggio di andata e ritorno per l'America, rendeva estremamente indicata quella punta della penisola iberica, poco distante dalle colonne d'Ercole, come centro di raccolta delle attività mercantili che avevano caratterizzato l'economia mediterranea prima dello spostamento del baricentro dei traffici europei verso l'area geografica del Nuovo Mondo.

            "L'Atlantico di Cadice" - per parafrasare l'espressione di Chaunu relativa a Siviglia -,[7] era divenuto sempre più, a partire dal momento del descubrimiento, l'immenso spazio attraverso cui si espandevano gli scambi mondiali, sopravanzando il Mediterraneo (dopo averne ereditato gli strumenti e le prerogative fondamentali) come centro degli interessi e dei traffici degli Stati con una struttura commerciale più avanzata. Braudel ha mostrato come questo mutamento di fondo nella storia dei mari e del loro predominio sia avvenuto con molta gradualità e come il Mediterraneo abbia notevolmente contribuito alla "costruzione" dell'Atlantico degli spagnoli.[8]

            Il processo di spostamento verso l'occidente atlantico della «puerta y puerto de las Indias», dell'avamposto e del punto di approdo delle attività mercantili, aveva toccato Cadice verso la fine del XVII secolo, rendendola per tutto il corso del Settecento - una volta avvenuto il trasferimento della Casa de la Contratación da Siviglia e il conseguimento definitivo del monopolio del commercio con le colonie - un punto chiave dell'economia continentale. Durante questo periodo, considerato concordemente come il siglo de oro gaditano, Cadice rappresentò la città più prospera della Spagna e uno dei principali centri di scambio dell'intera Europa, divenendo luogo di attrazione di mercanti e case commerciali straniere, oltre che di una qualificata immigrazione interna.[9]

            La caratteristica fondamentale del commercio gaditano era l'organizzazione di una fitta rete di relazioni e di scambi imperniati sul comercio de comisión, cioè sull'esaltazione di un'attività di intermediazione esattamente opposta a quella individuale, per conto proprio o "di proprietà". Il metodo comunemente usato era quello degli hombres de paja, ovvero di prestanome locali, i quali esportavano le merci delle case commerciali straniere, ricevendone in cambio una determinata percentuale sul valore dei prodotti venduti o una somma di denaro prefissata. Bernal ha notato che «los mercaderes gaditanos dieciochescos, salvo rara excepción, eran meros comisionistas y testaferros».[10] Questo fatto appariva, allo stesso tempo, come una causa e un effetto della situazione economica locale: infatti, la scelta di un ruolo di intermediazione pura dipendeva dalla scarsezza di capitali propria dei mercanti gaditani e, a sua volta, creava un ostacolo alla formazione di solide ricchezze in loco. Questo tipo di attività permetteva un guadagno comodo e poco rischioso, e, tuttavia, non stimolava la produzione interna, né favoriva alcun tipo di investimento: così, i ricavi più consistenti dei traffici coloniali finivano nelle mani degli stranieri. Nell'ultima fase del XVIII secolo, dopo l'impetuosa "americanizzazione" dell'attività mercantile dei decenni precedenti, si doveva registrare un cambiamento di questo modello, attraverso la realizzazione di una sostanziale riduzione d'importanza del commercio su commissione e l'avvio di un processo di ridimensionamento dell'orbita commerciale della città, durante il quale «el comercio se gaditaniza».[11]

            I provvedimenti del 1765 e del 1778, che si proponevano una graduale liberalizzazione del commercio,[12] non ebbero come effetto la riduzione d'importanza del porto gaditano. Cadice, infatti, visse il suo periodo di maggiore prosperità, proprio nell'ultimo ventennio del XVIII secolo,[13] grazie al radicamento e allo sviluppo delle sue attività mercantili, che rimanevano ancora le più competitive dell'intera penisola, superando di gran lunga quelle degli altri porti spagnoli autorizzati agli scambi con l'America.[14] I traffici commerciali crebbero come mai prima:[15] il volume delle esportazioni da Cadice verso le colonie d'oltreoceano aumentò, tra il 1778 e il 1792, del 512%, arrivando a rappresentare, nell'ultimo anno, il 76% del totale delle merci esportate dalla Spagna con quella destinazione.[16] Nel 1784, l'anno di un vero e proprio boom commerciale, le entrate del commercio gaditano toccarono i 55.500.000 pesos di 128 cuartos;[17] si fecero sempre più intensi gli scambi con le colonie, «á donde espendió Cádiz en 1792 por valor de rs. vn. 270.000,000 en productos ó mercancias nacionales».[18] Nel 1796 le merci esportate da Cadice raggiunsero il valore di 196.613.795 reales de vellón, secondo le stime effettuate in relazione al Reglamento de libre comercio (o di 225.992.615 reales de vellón, secondo i calcoli effettuati in base ai prezzi correnti delle esportazioni).[19]

            La prosperità di Cadice dipendeva dallo sviluppo del suo commercio e, fondamentalmente, dalle attività di scambio con le colonie americane: ogni mutamento o interruzione delle rotte atlantiche, quindi, si ripercuoteva sull'economia gaditana, privandola della risorsa principale e della via d'acceso privilegiata della città, il suo mare. E l'inversione di tendenza del commercio gaditano prese avvio nel quinquennio 1797-1801, con una brusca rottura della fase di crescita economica determinata proprio dall'interruzione dei collegamenti marittimi a causa dell'inizio del conflitto con l'Inghilterra. I fattori che determinarono questa crisi erano di tipo congiunturale, ma avevano anche un carattere strutturale, come l'incapacità di Cadice di far fronte alla domanda coloniale di prodotti manifatturieri senza ricorrere alle forniture straniere. Come ha osservato Fisher: «Es notorio que la declaración de guerra por España contra Gran Bretaña, en agosto de 1796, provocó una crisis sin precedentes para las relaciones comerciales entre la metrópoli y sus posesiones americanas. Esta crisis tuvo varias facetas, aunque, en términos generales, pueden reducirse a un punto simple: después de la derrota de la armada española en el Cabo San Vicente (el 14 de febrero de 1797), el almirante Horatio Nelson, comandante de la armada británica, impuso en abril un bloqueo del puerto de Cádiz, que paralizó el comercio transatlántico de España».[20] 

            Il volume dei traffici gaditani subì, in quegli anni, un processo di grave contrazione, che, nonostante brevi fasi di recupero - tra il 1802 e il 1804, tra il 1809 e il 1810 -, si consolidò negli anni tra il 1813 e il 1821, causando la decadenza del più importante porto commerciale della penisola iberica e della città dominante nei traffici con le terre d'oltreoceano, «auténtica capital mercantil de Europa» nel Settecento.[21] La guerra, dunque, non può essere considerata un elemento secondario della crisi di Cadice, visto che rappresenta un fattore esterno di seria perturbazione dell'economia; tuttavia, assume un ruolo determinante per il definitivo collasso delle attività commerciali gaditane solo quando è associata al blocco dei collegamenti marittimi. Infatti, «En el transcurso de las guerras que a fines del siglo XVIII y principios de la centuria siguiente, sostuvo España contra Inglaterra, cada vez que ésta bloqueaba la bahía, impidiendo la entrada y salida de navíos, Cádiz padecía sus consecuencias de forma ostensible. Los productos más vitales escaseaban, subían de precio, la actividad urbana se paralizaba, las casas comerciales se declaraban en quiebra. La ciudad parecía morir de asfixia cada vez que le cerraban esta puerta. Por el contrario, durante la guerra de Independencia, cuando los franceses sitían la ciudad, por tierra, dejándole expedita la puerta del Mar, Cádiz apenas si se resiente. Los productos siguen llegando a su bahía con toda regularidad y la vida en su interior transcurre normalmente».[22]

            Le guerre marittime con l'Inghilterra, al di là delle cause che le avevano motivate,[23] fecero segnare il passo all'attività di scambio: dal 1796, anno di avvio del conflitto, fino al 1802, quando si firmò la pace di Amiens, il porto di Cadice si venne a trovare in una situazione di completo isolamento, che impediva il proseguimento delle relazioni commerciali con i possedimenti americani. Questo arresto delle transazioni fu il motivo principale dell'adozione del decreto, con il quale si autorizzavano i paesi rimasti neutrali durante le ostilità a commerciare con le colonie spagnole:[24] il provvedimento, pur se di breve durata - venne sospeso, infatti, nel 1799, per poi essere ripreso in altra forma -,[25] destò una nuova consapevolezza negli abitanti dei territori d'oltremare, che compresero le possibilità e i vantaggi di sussistere autonomamente, sottraendosi al dominio della metropoli.[26]

            Cadice, a partire dal 1797, a causa del blocco del porto da parte della flotta inglese di Nelson,[27] subì una caduta verticale del volume delle sue attività commerciali con le colonie: le esportazioni discesero ad un valore di soli 4.858.843 reales de vellón (o 5.593.956, a seconda che le stime siano effettuate in relazione alle valutazioni del Reglamento de libre comercio o ai prezzi correnti delle merci esportate dalla città gaditana);[28] le importazioni di prodotti coloniali furono pari a 26.468 quintali e i capitali giunti alla Depositaría de Indias sommarono a 2.500 pesos fuertes.[29] Il blocco della via di accesso al mare non determinò solo effetti disastrosi per le attività mercantili gaditane, ma provocò anche un grave squilibrio nei territori americani, dovuto alla mancanza di approvvigionamenti, alla crescita inusitata dei prezzi delle merci europee e alla difficoltà di smerciare le scorte esistenti dei prodotti locali. Questa situazione venne affrontata, prima, facendo ricorso all'apertura di relazioni con i paesi nord americani da parte delle colonie spagnole, poi, approfittando della possibilità di commercio con le nazioni neutrali, nel periodo del conflitto tra Spagna e Inghilterra.[30]

            Nei due anni successivi, sebbene le esportazioni avessero sperimentato una certa ripresa, raggiungendo il valore di 16.709.076 (o di 19.381.624) reales de vellón, nel 1798, e di 61.042.173 (o di 71.606.123) reales de vellón, nel 1799,[31] il commercio gaditano continuò a permanere in una situazione di generale ristagno.[32] Tanto è vero che, nonostante l'abrogazione del decreto del 1797, l'attività di scambio di Cadice conobbe una nuova brusca caduta: nel 1800, infatti, le esportazioni scesero a 25.226.196 (o 29.340.895) reales de vellón, l'oro e l'argento depositati non superarono i 1.464 pesos fuertes; mentre, nel 1801 le esportazioni si fermarono a 37.663.732 (o 43.753.187) reales de vellón e le importazioni dei prodotti coloniali più importanti si ridussero di circa il 50%, rispetto all'anno precedente.[33]

            In questo breve spazio di tempo che apriva il XIX secolo, insieme ai fattori di crisi di tipo congiunturale, come le guerre marittime, cui si aggiunse la svalutazione dei titoli del debito pubblico, cominciarono a manifestarsi problemi di fondo dell'attività commerciale gaditana, che non appariva più in grado di assicurare i rifornimenti necessari ai possedimenti coloniali e che, ormai, veniva considerata dagli americani come una ingombrante struttura di intermediazione. Gli anni di pace, tra il 1802 e il 1804, consentirono il rilancio degli scambi commerciali del porto gaditano, che ritornarono a livelli di normalità. Già nel 1802 tutte le voci mostravano un segno positivo: le esportazioni risalirono a 211.946.314 (o 243.783.008) reales de vellón, le importazioni di tutti i prodotti coloniali crebbero eccezionalmente e quelle di capitali ammontarono a 36.385.814 pesos fuertes e 31/2 reales.[34] Nel 1803 le esportazioni furono pari a 231.820.929 (o 257.018.117) reales de vellón, le importazioni di merci coloniali diminuirono, nel complesso, e le rimesse di capitali discesero a 30.533.409 pesos fuertes e 19 reales; nel 1804, l'anno della ripresa del conflitto con l'Inghilterra, si ebbe una riduzione delle esportazioni a 168.724.291 (o 199.111.113) reales de vellón e delle importazioni di capitali a 9.932.163 pesos fuertes e 11 reales.[35] Quindi, si trattava di un ritorno alla normalità di effimera durata, in un quadro generale di instabilità e di regresso dell'economia gaditana. La contrazione dell'attività commerciale, iniziata nuovamente a manifestarsi nel 1804, accelerò decisamente il suo ritmo in corrispondenza con il disastro di Trafalgar, che portò la Spagna «no sólo a la ruina como potencia naval, sino también como potencia económica».[36]

            Nel 1805 le esportazioni discesero a 25.258.204 (o 29.141.039) reales de vellón, le importazioni di prodotti coloniali ammontarono a soli 9.749 quintali e quelle di capitali a 563.582 pesos fuertes; nel 1806 le esportazioni risalirono momentaneamente a 31.428.188 (o 36.849.630) reales de vellón, le importazioni di prodotti delle colonie subirono, al contrario, un'ulteriore notevole diminuzione, come quelle di capitali, che si ridussero alla cifra di 14.830 pesos fuertes;  infine, nel 1807, l'anno in cui raggiunse il culmine questa fase discedente dell'attività di scambio, le esportazioni gaditane si fermarono ad un valore di soli 13.063.033 (o 14.874.208) reales de vellón, mentre le importazioni diminuirono ancora, tanto che, per quelle di oro e argento, non fu registrato, da parte della Depositaría de Indias, l'arrivo di neppure una nave con capitali provenienti d'oltreoceano.[37]

            La fine dell'instabilità, che aveva caratterizzato le transazioni marittime a cavallo dei secoli XVIII e XIX, corrispose al cambio di alleanze internazionali della Spagna e alla consacrazione del dominio inglese sull'Atlantico. In conseguenza delle nuove relazioni con l'Inghilterra, la Spagna subì l'invasione del proprio territorio da parte dell'esercito napoleonico, mentre dall'altra parte dell'oceano si avviarono i primi tentativi per conseguire l'indipendenza dalla "madrepatria". In questo periodo: «La coincidencia de ambos factores va a provocar un auténtico colapso dentro de la economía peninsular».[38] Tuttavia, mentre gli effetti della guerra d'Indipendenza si avvertirono immediatamente, specialmente nella congiuntura commerciale dei porti spagnoli, gli effetti del movimento di emancipazione americano si fecero sentire solo a partire dal 1814. In questa fase la morsa del blocco commerciale venne avvertita con minore drammaticità dai commercianti di Cadice, proprio perché i rapporti con le colonie non apparivano definitivamente compromessi e anche l'occupazione del territorio interno spagnolo non rappresentava un ostacolo insormontabile, quando rimaneva aperto lo sbocco del mare.[39]

            Il 1808 fu un anno di parziale recupero per il commercio gaditano, dopo la paralisi degli anni precedenti: le esportazioni raggiunsero il valore di 28.406.798 (o di 33.519.160) reales de vellón; le importazioni di merci coloniali non conseguirono un risultato analogo, visto che aumentò la quantità solo di pochi prodotti, all'interno di una riduzione generale degli approvvigionamenti; mentre riprese quota l'importazione di capitali, arrivando al livello di 10.780 pesos fuertes.[40] Nel 1809, l'anno della firma del trattato di alleanza tra Spagna e Gran Bretagna che consentì una discreta rianimazione dell'attività mercantile gaditana, le esportazioni aumentarono fino alla cifra di 106.171.745 (o di 121.884.361) reales de vellón e diedero segni di recupero anche le importazioni, in particolare quelle di capitali, che salirono a 17.023.050 pesos fuertes.[41] Nel 1810, l'anno durante il quale iniziò l'assedio di Cadice da parte delle truppe francesi, le esportazioni arrivarono al valore di 113.136.476 (o di 133.200.097) reales de vellón, le importazioni di prodotti coloniali, invece, diminuirono dell'11,38% e quelle di capitali ebbero un incremento, raggiungendo i 43.682.138 pesos fuertes.[42] Come è stato rilevato: «en un aspecto el sitio de Cádiz fue absolutamente ficticio: la ciudad está tan bien abastecida como en los días de paz, dándose el caso curioso de que son los sitiadores, por el contrario, los que pasan en ocasiones hambre y necesidades. La explicación es clara: el predominio hispanoinglés mantenía expedito el camino del mar».[43] Il paradosso descritto da Solís era il dato caratteristico della nuova fase di ostilità: mentre, durante le guerre marittime, il porto gaditano era stato privato della sua principale risorsa, il mare e le sue comunicazioni; nel periodo della guerra d'Indipendenza, Cadice, assediata da terra, poteva sviluppare le sue relazioni attraverso la via atlantica.

            In quegli anni, comunque, il commercio gaditano avvertì tutto il peso della guerra contro gli invasori francesi, che avevano turbato la complessa dinamica di sviluppo delle forze produttive interne, aggravando la difficoltà della Spagna di rifornire direttamente le colonie; a questo motivo di crisi si aggiunsero l'avvio del processo di emancipazione dei territori coloniali, le gravose spese di guerra e la svalutazione dei titoli del debito pubblico:[44] di conseguenza, anche quei dati che apparivano confortanti, perlomeno dal punto di vista congiunturale, non avrebbero tardato a riprendere un segno negativo.[45]

            Nel 1811 l'attività commerciale gaditana cominciò a declinare nuovamente, confermando la tendenza alla contrazione dell'intero periodo: le esportazioni si ridussero a 52.541.605 (o 60.464.194) reales de vellón; le importazioni di merci coloniali ebbero un generale ridimensionamento, pari a più del 50%; mentre le rimesse di capitali discesero a 9.375.853 pesos fuertes.[46] Per il 1812, un anno molto importante per i gaditani, in quanto segnò la proclamazione della Costituzione liberale e la fine dell'assedio francese, sono insufficienti o mancano i dati più significativi.[47]

            Il movimento di emancipazione americano, dopo quasi un ventennio di assenza della Spagna dalle colonie, era, ormai, una realtà concreta e ineludibile, che cominciò a indurre un mutamento di mentalità nei protagonisti dell'economia gaditana: mentre Ferdinando VII restaurava l'assolutismo e tentava di riportare i territori d'oltreoceano sotto il dominio della Corona, decidendo la riproposizione del sistema esclusivistico soppresso da las Cortes de Cádiz e praticando una politica commerciale caratterizzata dall'assenza completa di libertà, le classi mercantili, mostrando una nuova sensibilità al cambiamento degli scenari in cui si svolgeva la loro attività, abbandonarono la vecchia idea del monopolio e divennero aperte sostenitrici dell'adozione di misure liberali nelle transazioni commerciali con le colonie. Tuttavia, prevalse l'impostazione del sovrano spagnolo, che, così (nonostante il breve trionfo del realismo in tutte le province d'oltremare, con la sola eccezione del viceregno di Río de la Plata): «Contribuyó a acelerar el proceso revolucionario desencandenado algunos años antes, privando de esta forma a la producción española de su principal mercado y a la hacienda de su más importante fuente de recursos».[48]

            La carenza di dati, per i primi anni successivi alla fine della guerra contro i francesi in terra gaditana, non consente una valutazione precisa dell'andamento delle attività del porto di Cadice; gli studiosi del periodo, però, sulla base delle informazioni parziali attualmente disponibili, ipotizzano una rianimazione del commercio - limitata alla fase tra il 1813 e il 1816 -, che si sarebbe presto esaurita con il rientro di Cadice nel processo di generale contrazione economica.[49]

            Durante il periodo che ebbe inizio nel 1817 la situazione del commercio gaditano si fece di sempre più netta decadenza, con un declino delle attività, che, ben presto, si tramutò in paralisi completa.[50] Nel 1820, per effetto della decisione del governo liberale di sospendere le ostilità contro il movimento indipendentista, si ebbe un miglioramento, del tutto transitorio, delle transazioni commerciali.[51]

            Da questo momento in poi, mancano informazioni certe sull'andamento dell'economia di Cadice, visto che anche le serie relative alle esportazioni si interrompono, lasciando il campo solo ad indicazioni sulle medie annuali delle merci in uscita dal porto gaditano.[52] Le uniche notizie disponibili, di un qualche rilievo, riguardano i fallimenti delle case commerciali, che, negli anni tra il 1811 e il 1824, chiusero in 227, su un totale di 600; il calo vertiginoso degli armatori navali, che passarono, dai 300 di inizio secolo, ai 20 del 1824; la riduzione della popolazione di un terzo circa, nel primo quarto del XIX secolo;[53] la emigrazione di massa della classe mercantile gaditana, che comportò la diminuzione all'ottava parte dei commercianti stranieri residenti a Cadice.[54] Questi dati, pur nella loro frammentarietà, confermano la prosecuzione della contrazione dei traffici e l'aggravamento ulteriore delle condizioni della città, dopo il 1821.[55]

            Con la separazione dei territori americani, una volta conseguita la definitiva indipendenza nel 1824,[56] si concluse il lungo periodo del predominio coloniale spagnolo e del conseguente sviluppo di Cadice come capitale degli scambi commerciali tra "i due mondi".[57] Il declino delle attività mercantili era iniziato al tempo delle guerre marittime e, pur raggiungendo il suo culmine alla fine del primo ventennio del XIX secolo, aveva già prodotto una situazione di profonda crisi e di perdita di ruolo della baia gaditana. Insieme ai fattori esterni (le guerre contro l'Inghilterra, la guerra d'Indipendenza spagnola e l'emancipazione dei paesi d'oltreoceano),[58] altre cause, che avevano origine nella struttura interna di Cadice e della Spagna, nonché nel peculiare meccanismo di funzionamento dell'attività commerciale gaditana, contribuirono a determinare l'irrimediabile decadenza della città.

            Innanzitutto, la produzione agricola e industriale nazionale non era affatto in grado di far fronte alla competizione degli altri paesi europei per soddisfare la domanda americana, tanto è vero che la maggior parte delle esportazioni coloniali era costituita da prodotti stranieri. Inoltre, l'atteggiamento difensivo della borghesia gaditana, espressione di una classe dedita prevalentemente al commercio su commissione e, quindi, poco propensa al rischio e all'innovazione, favorì lo stabilirsi del predominio straniero sui traffici commerciali con le terre d'oltreoceano. Il cerchio si chiudeva, quando si considerava l'abitudine incrollabile delle classi intermedie spagnole di imitare, anche attraverso varie forme di ennoblecimiento,[59] i comportamenti dei membri dell'aristocrazia nobiliare: i commercianti gaditani, in particolare, anziché investire produttivamente le ricchezze accumulate con l'attività di scambio, privilegiarono i lussi e gli ozi della vita agiata, dilapidando, in questo modo, consistenti fortune e privando i settori fondamentali dell'economia di quelle risorse finanziarie, che ne avrebbero potuto consentire il decollo.

            Un altro aspetto della decadenza di Cadice derivò dalle scelte conservatrici e dalla sfasatura dei tempi di intervento del governo nel campo della politica commerciale.[60] La generalizzazione di un sistema di tipo protezionistico e la vanificazione dei tentativi sporadici, compiuti nel primo ventennio del XIX secolo,[61] di affermare il liberismo economico erano il frutto di un'attenzione esclusiva ai problemi dell'erario reale e dimostravano una grave noncuranza per le potenzialità di svilupo dell'industria e dell'agricoltura nazionali, che furono condannate, proprio nel periodo di più intenso sviluppo degli altri concorrenti europei, a permanere in una condizione di arretratezza.

            In definitiva, si può convenire, per il caso specifico, con l'analisi secondo cui «Cádiz era una ciudad por y para el comercio, pero éste se orientó desde el descubrimiento del Nuevo Mundo al intercambio con estos países, de modo que sin este inmenso mercado difícilmente podía conseguir otra cosa más que ir subsistiendo. De aquel gran emporio comercial que fue Cádiz en el siglo ilustrado no quedaban para sus comerciantes más que ruinas y recuerdos por los que lamentarse».[62] Questa situazione era il prodotto di due diversi movimenti. Uno di lungo periodo, che era stato originato dai conflitti che tra il 1797 e il 1824 avevano messo in evidenza i punti di debolezza strutturale di un modello economico come quello gaditano, determinando un'inversione di tendenza epocale nelle relazioni commerciali con i territori americani. Uno di tipo congiunturale, secondo cui l'instaurazione del "sistema continentale", specialmente durante gli anni dell'occupazione francese, non aveva provocato la stagnazione completa delle attività commerciali, ma aveva mantenuto aperta, attraverso la via del mare, la possibilità di un livello accettabile degli scambi, sia pure del tutto episodicamente.[63] Naturalmente, il risultato finale di questi andamenti non uniformi fu il frutto di un mutamento di fondo negli orizzonti dell'economia mondiale e si concretizzò nella definitiva disgregazione di un tessuto commerciale peculiare che aveva fatto la fortuna di Cadice per oltre un secolo.

            L'introduzione di un caso specifico di studio nel contesto fin qui tratteggiato può servire a verificare concretamente, anche se con i limiti temporali e tematici riservati a quest'analisi, le modalità attraverso cui un'impresa commerciale gaditana ha partecipato ad una delle fasi più controverse e difficili dell'economia locale, ad un momento essenziale di snodo della storia della Spagna atlantica. Del resto, un approccio  di questo tipo tende a cogliere l'esigenza di esaminare i focolai di una borghesia interna, che aveva a Cadice e Barcellona i due centri più significativi di localizzazione,[64] nell'ambito della loro attività peculiare, cercando di evitare «un retorno a una historia económica de horizontes limitados», ma avendo la consapevolezza «de la necesidad que tenemos de reunir una masa suficiente de conocimientos concretos para poder pasar a una nueva y más satisfactoria formulación teórica».[65] Infatti, l'insufficienza delle informazioni disponibili sulle attività commerciali, anche per il XIX secolo, dovrebbe condurre a reperire nuove fonti documentarie per il commercio di origine coloniale, che si possono rinvenire nella strumentazione privata, di tipo contabile e amministrativo, adottata dall'impresa mercantile.[66]

            L'attività commerciale avviata a Cadice da Juan de Agüera,[67] un immigrato proveniente dalla regione cantabrica, nella prima metà del XVIII secolo, e portata al suo massimo livello di sviluppo da Francisco González de la Sierra, poco più di un secolo dopo, si era collocata nel cuore del commercio coloniale spagnolo e aveva imperturbabilmente solcato la scena mercantile gaditana durante tutto il Settecento, l'Ottocento e buona parte del Novecento. La straordinaria longevità della compañía "Almacén de Agüera" ha evidenziato una caratteristica fondamentale di questa iniziativa,[68] che, pur collocandosi costantemente ad un livello intermedio rispetto alle dimensioni delle altre attività mercantili, è stata in grado di trovare una spinta - e una convenienza - duratura allo svolgimento dei propri traffici, attraverso una posizione solo apparentemente residuale, all'interno del meccanismo degli scambi coloniali. La scelta di esercitare la compravendita su larga scala degli ultramarinos, per lo più generi alimentari e altre merci di scarso valore,[69] ha costituito il grande vantaggio, oltre che il principale freno, di questa impresa gaditana. Grazie a un'impostazione di grande avvedutezza e cautela, che derivava dai saldi legami familiari e dall'antica esperienza commerciale dei componenti della società, ancor più che da una limitata disponibilità di capitali, venne ricoperta una porzione di mercato, oggi si direbbe una "nicchia", che consentì di intensificare e diffondere l'attività mercantile, poggiandola sempre su una base di partenza inattaccabile.

            In questo modo, l'azienda, pur assumendo caratteristiche del tutto simili a quelle presenti nelle diverse iniziative commerciali dell'epoca in tutta l'area gaditana, riuscì a passare dalla fase più florida dell'economia, determinata dalle ricchezze provenienti dai domini coloniali, a quella più difficile per Cadice, iniziata con la perdita del monopolio mercantile, senza subire il contraccolpo esiziale, che aveva portato al fallimento attività molto più rigogliose, ma, anzi, proseguendo decisamente nel suo itinerario di progressiva articolazione in una serie di empori, di negozi e di botteghe, sparsi lungo il territorio della baia, che sembravano concorrere alla formazione di una piccola "holding" ante litteram.

            Nella multiforme attività della società "de Agüera" e dei suoi membri, inoltre, si ritrovava puntualmente il carattere polivalente del commerciante gaditano. Il punto di incontro tra le diverse funzioni - svolte dalla stessa azienda o, anche, da un'unica persona - di commercio all'ingrosso e al dettaglio, di commercio su commissione e di rappresentanza, di finanziamento e di promozione di nuove società collettive, derivava dalla particolare attività di intermediazione esistente a Cadice, in virtù della quale le merci e la loro movimentazione erano al centro del commercio e i relativi guadagni scaturivano più da una elevata capacità di conduzione dei traffici a buon fine, che da cospicui impieghi di risorse o dal possesso di ingenti capitali.

            Il dato costante della gestione interna, che nasceva dalla natura familiare dell'impresa e dalla necessità di sostenere economicamente i gruppi operanti a Cadice, come quelli rientrati nella regione cantabrica, era quello della parsimonia e del risparmio, o meglio, della utilità e dell'oculatezza degli impieghi. L'azienda, pur essendo notevolmente progredita nel corso dei primi decenni di azione e avendo assunto i caratteri di un insieme aggregato di attività, si basava sempre sul lavoro dei familiari, anche di quelli acquisiti di origine gaditana, e faceva un moderato ricorso al credito, che era quello normalmente richiesto per il pagamento delle forniture commerciali. Dai libri contabili, come dalle altre fonti informative, non emergevano particolari forme di investimento, che non fossero quelle di tipo immobiliare, né spese diverse da quelle strettamente indispensabili per la conduzione dell'impresa. Naturalmente, tale impostazione comportava anche un ostacolo all'accumulazione, che veniva mantenuta nei confini stabiliti nella fase di costituzione delle società: questo rilievo consente, altresì, di provare il valore primario assegnato all'arte del commercio, cioè, alle tecniche mercantili, oltre che alla competenza e all'esperienza dei soggetti che operavano a nome della compañía.

            Nel nostro caso, quindi, alla naturale propensione ad un buon risultato di breve periodo, si univa una forma specifica di valorizzazione futura dell'attività commerciale: non potendosi fare affidamento sugli investimenti di capitali, l'accumulazione veniva effettuata, soprattuto, in capacità umane e in tecniche di organizzazione, tutti elementi che costituivano i fattori discriminanti per il successo del negozio di intermediazione. Queste caratteristiche consentirono di vivere meno drammaticamente le fasi di stagnazione o di crisi, che non ebbero come effetto il blocco o la scomparsa dell'attività, ma provocarono danni più contenuti rispetto a quelli subiti da iniziative più grandi. Tuttavia, non bisogna dimenticare gli aspetti negativi di questa configurazione aziendale. Nella vicenda della compañía "Almacén de Agüera", non si verificò quanto sosteneva Braudel sulla corrispondenza tra la diffusione di un'attività e le sue dimensioni. Infatti, se è vero che lo spazio di un mercante è determinato dai suoi rapporti con gli acquirenti, i fornitori, i prestatori e i creditori, nella situazione concreta dell'impresa gaditana, non è accaduto, se non a tratti, che si potesse avvalorare l'affermazione, secondo cui «più lo spazio è largo, più il mercante preso in esame è da supporsi in linea di principio importante, e spesso lo è anche di fatto».[70]

            All'inizio dell'ultimo ventennio del Settecento, l'Almacén de Agüera, sede principale dell'attività commerciale, era ormai diventato il centro di comando di una rete estesa di affari, costituita essenzialmente da esercizi di generi alimentari e ramificata su gran parte dell'area territoriale intorno a Cadice. La società principale gestiva direttamente le tiendas e le tabernas che facevano capo al complesso commerciale o partecipava con propri rappresentanti alla formazione e alla gestione delle nuove compañías del gruppo.

            Durante questo periodo di fine secolo, che fu anche quello di maggiore prosperità per l'intera economia gaditana, le dimensioni dell'impresa si ampliarono considerevolmente, convertendosi da un'attività di tipo familiare di piccola portata e di carattere localistico, ad un'azienda commerciale di media grandezza, presente in varie città dell'area (Cadice, Jerez de la Frontera, la Carraca, Puerto de Santa María, Puerto Real, San Fernando e Sanlúcar de Barrameda). Si poteva, quindi, facilmente constatare che «ya a finales del siglo XVIII los gerentes nombrados al efecto administran una amplia red comercial en la Bahía Gaditana».[71] Inoltre, nel corso di questa fase, il volume d'affari dell'azienda conobbe un incremento consistente, come si può verificare dai dati contenuti nel libro giornale del negozio principale: infatti, il valore dei beni disponibili per il mercato aumentò, passando da 47.821 reales de plata, nel 1780, a 54.503, nel 1785, a 61.321 reales de plata e mezzo cuarto, nel 1790, e a 66.240, nel 1797.[72] La natura dell'attività commerciale non mutò, continuando a riguardare, come era avvenuto fin dalle origini, la distribuzione e la vendita, su scala locale, di generi alimentari interni e di beni provenienti d'oltremare.[73] Il passaggio più significativo, tra quelli relativi alla creazione di nuove società da parte della ditta principale, fu rappresentato dalla costituzione della compañía denominata Bodegas de la Arboledilla, che si occupava della distribuzione di vino ed era, tra le attività del gruppo, quella dotata del maggiore «líquido caudal» (capitale netto), pari a 912.271 reales de vellón.[74]

            Nell'ultimo ventennio del secolo, dunque, il complesso commerciale denominato "Almacén de Agüera y Cía" aveva compiuto grandi passi in avanti, incrementando notevolmente la propria partecipazione ai traffici su tutto il territorio gaditano, contribuendo alla formazione di nuove società di distribuzione e di vendita, diversificando le proprie attività e la tipologia delle merci scambiate, aumentando il volume di affari aziendale. L'impresa gestita da un nucleo familiare originario della regione cantabrica era divenuta, ormai, pienamente rappresentativa della realtà economica di Cadice, che in quegli anni aveva raggiunto il suo massimo livello di crescita. È stato, infatti, confermato che: «A finales del siglo XVIII y bajo la administración de Benito Glz. Tánago el conjunto de estas empresas forman un gran conglomerado con negocios de tipo muy variado, llegando a poseer barcos propios, como el que compran en 1798, el bergantín "Nuestra Señora del Carmen", un navío que carga más de 300 toneladas de mercancía y cuya actividad se desarrolla entre Cádiz y las Islas de Barlovento».[75]

            A partire da quest'epoca, contrassegnata da una serie di risultati molto positivi, iniziava una nuova fase della storia dell'azienda commerciale gaditana, che nel secolo successivo - dopo qualche decennio trascorso in condizioni di difficoltà, di stasi o di riorganizzazione - avrebbe proseguito e rafforzato il suo processo di espansione, puntando sui mercati d'oltreoceano. I primi anni dell'Ottocento, tuttavia, furono caratterizzati da un andamento altalenante dell'attività commerciale, frutto di una tendenza alla contrazione del volume d'affari, che caratterizzò l'intero settore della distribuzione e degli scambi nel territorio di Cadice, a causa dei conflitti incessanti e del blocco ripetuto dei collegamenti con i territori d'oltremare. I dati relativi all'Almacén de Agüera, confermano le difficoltà che si trovò ad affrontare il commercio gaditano in quel periodo. L'inversione di tendenza, che aveva preso avvio, a Cadice nel quinquennio 1797-1801 con una brusca rottura del ciclo espansivo precedente, fu netta anche per l'emporio principale dell'azienda gaditana, che vide passare il valore dei beni disponibili per il mercato da 66.240 reales de plata, nel 1797, a 52.840, nel 1800, e a 31.044, nel 1802.[76] Nel 1806 si registrò un nuovo incremento di tale valore, che raggiunse i 50.299 reales de plata e 2 cuartos:[77] tuttavia, nonostante questo sintomo di recupero, la crisi in cui era precipitata la città condizionava anche l'azienda degli Agüera, che avrebbe ripreso un percorso di netta ascesa solo dopo diversi anni.

            L'occupazione francese e il conseguente assedio di Cadice da parte delle truppe napoleoniche contribuirono a frenare ulteriormente la ripresa dell'azienda, che fu colpita in questo periodo da una crisi, oltre che di tipo economico, anche di natura organizzativa e gestionale. In generale, tutto il commercio gaditano subì un duro colpo a causa del conflitto contro gli invasori, che aveva ulteriormente complicato i collegamenti mercantili, rendendo sempre meno agevoli i rifornimenti verso l'esterno e gli approvvigionamenti interni. Tuttavia, al termine degli eventi bellici, mentre l'attività mercantile della città continuava a presentarsi in decremento e l'avvio del processo di emancipazione delle colonie determinava un serio ridimensionamento dell'intera economia di Cadice, l'impresa fondata dagli Agüera riprese il suo cammino, intensificando, oltre alla diffusione degli scambi interni, anche la partecipazione ai traffici internazionali. Uno degli elementi fondamentali di questa crescita, che differenzia l'andamento a lungo termine dell'impresa da quello complessivo dei traffici coloniali, è, probabilmente, da ascrivere al processo di riorganizzazione e di consolidamento imprenditoriale, che nel corso dei primi decenni del XIX secolo interessò il complesso commerciale sorto e sviluppatosi a Cadice. Il recupero avvenne lentamente e fu complicato da un importante fattore di ritardo, rappresentato dalla molteplicità dei familiari che detenevano partecipazioni nelle singole società del gruppo e svolgevano funzioni di conduzione aziendale.

            Ben lungi dal considerare l'attività di tipo familiare come un limite per la crescita dell'impresa gaditana - che ricevette sicuramente un forte impulso operativo, con una riduzione dei costi di gestione e una semplificazione dell'organizzazione interna, dalla numerosa presenza di consanguinei e dalla rete dei rapporti parentali - vanno, comunque, rilevati i vincoli che pesavano sulle possibilità di uno sviluppo ulteriore del complesso commerciale. L'azienda fondata dagli Agüera fu caratterizzata fin dall'inizio dalla provenienza dalle regioni cantabriche e, in particolare dalla provincia di Santander, del nucleo di comando e dei proprietari dell'impresa, ma, soprattutto, da un fenomeno di marcata endogamia. Questo fatto era motivato, probabilmente, oltre che dai costumi dell'epoca, dalla tradizione familiare e dal forte legame con la regione di provenienza, anche dall'esigenza di non spostare all'esterno del nucleo originario (e dei successori legittimi) gli interessi economici connessi con l'esercizio dell'attività di distribuzione e di scambio. Tuttavia, la permanenza dell'Almacén de Agüera nell'orbita di una stessa famiglia, per quanto essa fosse vasta, non consentì una "contaminazione", in tempi brevi, di quell'esperienza con la realtà locale e, soprattutto, privò l'azienda di potenzialità umane e di risorse specialistiche, che apparivano tanto più necessarie durante le fasi di espansione del commercio.

            Una prima valutazione d'insieme dell'attività dell'azienda gaditana, per questo periodo, può essere ricavata dai dati disponibili per l'emporio principale, riguardanti i primi anni anni del XIX secolo. Il valore dei beni disponibili nell'Almacén de Agüera era passato dai 50.299 reales de plata e 2 cuartos, dell'ultima rilevazione disponibile nel 1806, ai 79.153 reales de plata e 12 e mezzo cuartos del 1814, ai 91.721 reales de plata e 14 e mezzo cuartos del 1822; mentre, cambiata l'unità di conto,[78] il risultato fu pari a 156.031 reales de vellón, nel 1824, l'anno della fine del dominio coloniale.[79] Tuttavia, è possibile ricavare un quadro più significativo e definito dell'andamento aziendale in un periodo cruciale di svolta dell'economia gaditana, facendo riferimento ad ulteriori indicazioni contenute nei bilanci e nelle altre registrazioni del nucleo centrale del complesso commerciale di Cadice. Attraverso i dati contenuti nei libri contabili dell'Almacén de Agüera - dal giorno della costituzione della nuova ditta, il 12 giugno 1770, fino all'ultimo passaggio di questa seconda fase dell'attività aziendale, il rendiconto del 9 giugno 1828 -, è stato possibile ricostruire una serie di valori relativa ad una variabile economica fondamentale per la comprensione dell'evoluzione del complesso commerciale gaditano, un indicatore di cui mancano informazioni per gli anni più remoti: gli utili netti e le modalità della loro distribuzione.[80]

            I conti di questo lungo periodo mettono in evidenza i costi e i ricavi dell'azienda, secondo un andamento che sembra seguire, in stretta corrispondenza, quello delle trasformazioni economiche della città: si tratta della testimonianza di un percorso commerciale e di risultati che non si muovevano in controtendenza rispetto ai fenomeni più generali di sviluppo (o di contrazione) dell'area gaditana. Anche se la somiglianza di certi valori, alcune incongruenze o la stessa costruzione degli aggregati finanziari possono far pensare a degli artifici contabili, a registrazioni di partite che servivano a nascondere una reatà più complessa, non possono essere sminuiti il notevole significato e la novità, per l'epoca considerata, dei dati disponibili.

            Gli utili più consistenti erano, naturalmente, quelli riferiti agli intervalli di tempo più lunghi, a cavallo tra l'ultima fase del Settecento e il primo periodo dell'Ottocento; tuttavia, con una più attenta ponderazione, si può notare come i risultati più rilevanti siano stati conseguiti a partire dalla metà degli anni ottanta del XVIII secolo, nel momento di maggiore prosperità dell'intera economia di Cadice. Questa osservazione viene confortata dall'andamento aggregato degli utili netti aziendali, che raggiunsero i loro massimi livelli nel corso dell'ultimo ventennio del 1700, per subire, poi, una prima diminuzione nel decennio iniziale del 1800; tra il 1810 e il 1820, si accentuò la tendenza al decremento, ma la fase più negativa corrispose proprio a quella finale dell'Almacén de Agüera, che condusse allo scioglimento e alla trasformazione della società nel 1828. Durante tutto il periodo considerato, gli utili netti furono completamente distribuiti tra i soci, seguendo il criterio della corrispondenza con le quote di partecipazione alla compañía.[81] Questi dati contabili, tuttavia, non contribuiscono a fare piena luce sul fenomeno del finanziamento dell'attività commerciale, mancando ogni riferimento all'entità del capitale impiegato - se non negli atti costitutivi delle società e nei bilanci di liquidazione -, agli ammortamenti, agli investimenti effettuati e ai mezzi per far fronte ai fabbisogni economici di lungo termine. Il funzionamento concreto della compañía lasciava trasparire un certo immobilismo in relazione a temi strategici, come quello del rafforzamento della struttura aziendale e del ricorso alle risorse interne per la crescita e l'innovazione d'impresa. Infatti, mentre nei bilanci non comparivano, in alcun momento, quote di utili destinate agli investimenti e il capitale sociale - nonché la sua ripartizione tra i soggetti interessati - mutava quasi esclusivamente in occasione di nuovi ingressi nella società, la filosofia dell'impresa sembrava orientarsi verso due capisaldi fondamentali: il contenimento dei costi sostenuti nel corso dell'iniziativa commerciale, attraverso la standardizzazione delle procedure organizzative e l'adozione della tecnica della "commissione"; l'ampio utilizzo dei tradizionali strumenti di credito - non tanto il préstamo marittimo gaditano, quanto la letra de cambio vera e propria - per finanziare le negoziazioni e intensificare l'attività di scambio.

            Dalla disamina delle vicende dell'impresa "Almacén de Agüera y Cía", concentrate nell'arco di tempo più difficile e tormentato della città postasi a lungo al centro dei mercati delle due opposte sponde dell'Atlantico, possiamo trarre l'indicazione di una notevole corrispondenza tra il cambiamento della congiuntura economica locale e i risultati puntuali dell'attività aziendale. Questa circostanza assume un rilievo particolare nelle fasi di conflitto e di crisi. Infatti, si è dimostrato che le guerre e il blocco continentale hanno rappresentato dei fattori di freno e di involuzione generale, intervenendo negativamente sia sulla struttura e sulle relazioni mercantili nel loro complesso che sulle singole attività commerciali. Inoltre, il loro impatto e la loro carica perturbatrice sono stati ancora più forti, perché hanno assunto anche il valore simbolico di un taglio con il passato e di una inversione di tendenza storica, interagendo con gli altri eventi interni al contesto economico gaditano, che hanno causato la definitiva chiusura del siglo de oro e della supremazia commerciale di Cadice.

            Nella realtà della città andalusa il blocco dei traffici, il «sistema continentale» instauratosi nell'età napoleonica, ha avuto un duplice significato: quando il mare è stato bloccato, si è fermata ogni attività e la crisi è divenuta inarrestabile; quando lo sbocco marittimo si è riaperto, anche le situazioni più complicate, come l'assedio terrestre dei francesi, sono state superate brillantemente e si sono potuti contenere gli effetti di una fase sfavorevole. Quindi, il blocco non poteva essere permanente,  visto, peraltro, l'andamento altalenante delle alleanze spagnole e la scelta maturata nel 1808 di affiancare gli inglesi, divenuti ormai assoluti dominatori dei mari. Né tantomeno gli eventi bellici potevano incidere da soli sul destino di Cadice, considerata la particolare conformazione della città e la sua singolare dislocazione geografica. Anche da questi fattori naturali, infatti, nasceva l'aspirazione ad una intensa libertà di iniziativa, alla costruzione di un ambiente economico aperto, in grado di favorire l'affermazione delle forze sociali e delle imprese maggiormente rivolte al mercato - sia pure del tutto peculiare, «libre y protegido» - che aveva caratterizzato la metropoli degli scambi coloniali.

            Dal punto di vista strutturale, tuttavia, la corrispondenza tra le tendenze generali e quelle aziendali non era assoluta: l'impresa gaditana riuscì a superare la crisi, si impegnò in una difficile opera di riorganizzazione e riuscì a conseguire i suoi più elevati livelli di sviluppo - con una netta propensione verso i mercati d'oltremare e dell'Europa del Nord - nei decenni a cavallo della metà dell'Ottocento, in relazione ad una fase di ripresa dell'economia, anche se la città permaneva in uno stato di decadenza. Questo fatto mette in rilievo come, al di là di ogni determinismo, l'azione individuale unita alla consapevolezza degli obiettivi di un'organizzazione economica può consentire di varcare i limiti imposti dall'ambiente e dalle condizioni geografiche, da eventi esterni come la guerra e da una struttura sociale elementare, sapendo trasformare questi vincoli in opportunità di sviluppo: a Cadice questa sfida è stata raccolta da diversi uomini alacri ed intraprendenti, che non si sono fermati di fronte alle barriere più dure, riuscendo a solcare tre secoli di storia con una piccola imbarcazione, la loro multiforme attività commerciale.



[1] Il pacto colonial stabilito nel periodo mercantilista tra la capitale dei traffici commerciali e le colonie, prevedeva, sia pur tacitamente, uno "scambio ineguale" tra esportazioni e importazioni: il valore differenziale era fornito dal metallo prezioso americano, che costituiva la principale partita introdotta in terra spagnola. Tuttavia, il contributo dato dall'importazione di materie prime all'economia spagnola non era da considerare né secondario, né superfluo. La teoria del pacto colonial era la «versión dieciochesca de la concepción restrictiva y exclusivista de la política colonial difundida por los mercantilistas. (...) El principio del exclusivismo se entendía como algo consustancial a la noción de colonia.» (A. García-Baquero González, Cádiz y el Atlántico (1717-1778). El comercio colonial español bajo el monopolio gaditano, Cádiz, Diputación Provincial de Cádiz, 1988, tomo I, pp. 91-92).

[2] Cfr. L. Prados de la Escosura, De impero a nación. Crecimiento y atraso económico en España (1780-1930), Madrid, Alianza Editorial, 1988; L. Prados de la Escosura, Lo sviluppo economico spagnolo nel contesto europeo: 1800-1930, in "Società e storia", anno XIII, n. 47, gennaio-marzo 1990.

[3] G. Céspedes del Castillo (a cura di), América Hispánica (1492-1898), in Historia de España, diretta da M. Tuñón de Lara, Barcelona, Labor, 1994, vol. VI, p. 423.

[4] Come ha notato García-Baquero: «En efecto, limitada en el sentido horizontal, comprimida en el perímetro de sus murallas, prisionera del mar, Cádiz era una ciudad que no podía subsistir por sí misma. Ahora bien, precisamente este mismo mar que la aprisionaba le abría, en compensación, un cúmulo de posibilidades. De acuerdo con las peculiaridades que Braudel concede a las penínsulas, su relativo aislamiento respecto a las masas continentales queda compensado por su apertura ilimitada hacia el mar. Cádiz no podía ser una excepción. Nació ya con una obligada vocación marinera y mercantil. (...) Sin agricultura ni industria, carente de lo más necesario para la vida, Cádiz va a depender estrechamente, a lo largo de toda su historia, de su única fuente de subsistencia: el mar.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, Sevilla, E.E.H.A., 1972, p. 29).

[5] Cfr. M. Hernández Sánchez-Barba, El mar en la historia de América, Madrid, Editorial Mapfre, 1992, p. 279.

[6] Era questa l'espressione con la quale gli arabi indicavano l'oceano Atlantico.

[7] Cfr. H. e P. Chaunu, Séville et l'Atlantique (1504-1650), 12 voll., Paris, 1955-1960.

[8] Braudel, intitolando un paragrafo della sua opera su Civiltà e imperi del Mediterraneo "Parecchi Atlantici", rileva: «L'Atlantico del secolo XVI è l'associazione, la coesistenza più o meno perfetta di molti spazi in parte autonomi. (...) In qual modo questi oceani mettono capo alla vita del Mediterraneo, e in qual modo quest'ultimo agisce attraverso i loro spazi immensi? La storia tradizionale presentava in passato tutti questi oceani, in blocco, come il nemico numero uno del Mare Interno, in quanto lo spazio più vasto aveva soggiogato lo spazio di dimensioni minuscole. Ciò significa semplificare le cose. Esagerazione per esagerazione, sarebbe meglio dire che il Mediterraneo ha dominato a lungo il suo immenso vicino e che la sua decadenza si spiega, tra l'altro, col fatto che quel dominio un giorno venne meno. (...) Per tutto il secolo XVI, esso non è quell'universo abbandonato e impoverito che i viaggi di Colombo e di Vasco de Gama avrebbero bruscamente rovinato. Al contrario, esso costruisce l'Atlantico e ricrea e proietta le proprie immagini nel Nuovo Mondo iberico. (...) Il Mediterraneo ristretto, nel cuore dell'immenso spazio che l'avvolge, rimane fino al 1600 un'economia viva, agile, dominante. La grande storia non l'ha abbandonato precipitosamente, agli inizi del secolo, con armi e bagagli. La vera ritirata suonerà, per esso, soltanto più tardi.» (F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1976, vol. I, pp. 229-231 e p. 236; ed. orig. La Mediterranée et le Monde méditerranéen à l'époque de Philippe II, Paris, Librairie Armand Colin, 1949).

 

[9] Gli stranieri stabilitisi in permanenza a Cadice (italiani, francesi, portoghesi, olandesi, tedeschi e inglesi, nonché di un ristretto numero di individui di altre nazionalità) rappresentarono, per gran parte, il nerbo dell'attività mercantile gaditana. Nonostante ciò, la presenza degli stranieri, che si erano trasferiti nella città nel periodo dell'espansione commerciale gaditana e che erano stati favoriti, peraltro, dall'evoluzione della legislazione spagnola, cominciò a perdere d'importanza tra la fine del Settecento e i primi anni dell'Ottocento. Infatti, a causa di una serie di avvenimenti dirompenti, come la perdita del monopolio, le continue guerre con l'Inghilterra e la Francia e, soprattutto, il decreto sulla libertà di commercio con i neutrali del 1797, il porto di Cadice cessò di rappresentare il luogo di incontro obbligato dei commercianti stranieri interessati ai traffici coloniali. Le eccellenti possibilità di arricchimento che nel corso del XVIII secolo offriva Cadice determinarono, inoltre, un consistente afflusso di immigrati, provenienti da altri nuclei urbani (come Siviglia, Cordova, Zamora, Burgos, Jerez, Leon e Oviedo) e, soprattutto, dalle aree del nord e dalle province cantabriche. Infatti, proprio dai territori della provincia di Santander, meglio conosciuti come Las Montañas, si erano trasferiti a Cadice singoli individui e interi nuclei familiari, in gruppi numericamente ampi e con l'obiettivo precipuo di «hacer fortuna en su comercio», fornendo un impulso essenziale al decollo mercantile gaditano.

[10] A. M. Bernal, La financiación de la Carrera de Indias (1492-1824). Dinero y crédito en el comercio colonial español con América, Sevilla, Fundación El Monte, 1992, p. 353.

[11] In quel periodo, «se hace menos negocio a comisión y se intensifica la participación activa y directa de los agentes mercantiles, productos y capitales propios, sobre todo de éstos últimos, lo que ayudaría a entender (...) las modificaciones introducidas. Las disponibilidades de capitales de la plaza gaditana, acumulados tras un siglo de cabecera indiscutible del comercio con América, habrían de configurar un mercado financiero de primer orden, que se encarga de sostener y alimentar dicho comercio cuando los circuitos de financiación internacionales dejan de dirigir los flujos pertinentes. Por primera vez, en la etapa final, los comerciantes de Cádiz asumen casi en su totalidad los riesgos del comercio, desde la financiación previa, con la aportación del capital circulante necesario, hasta los inciertos beneficios que el comercio les depara en unos años de turbulencias política, belíca y económica.» (A. M. Bernal, La financiación de la Carrera de Indias (1492-1824). Dinero y crédito en el comercio colonial español con América, cit., p. 423).

[12] L'iniziativa del riformismo borbonico raggiunse il suo culmine con la promulgazione, il 12 ottobre del 1778, del Reglamento y aranceles reales para el comercio libre de España e Indias, che raccoglieva le misure adottate in precedenza per l'apertura ai traffici coloniali di un numero sempre maggiore di porti    - concedendo l'autorizzazione agli scambi commerciali a 17 scali spagnoli, oltre Cadice, e a 23 americani - e si proponeva di riordinare il sistema fiscale, attraverso la soppressione di molti dei dazi gravanti sul commercio e la loro sostituzione con una nuova imposta ad valorem, sottoponendo ad un trattamento più favorevole le merci spagnole rispetto a quelle straniere. Con il Reglamento si volle tentare di dare nuovo impulso all'economia della Spagna, sviluppando un «comercio libre e protegido» tra le regioni peninsulari e le colonie d'oltreoceano: «Por libre se entendía más puertos, más flexibilidad, menos trabas e impuestos. Por protegido se entendía dotado de una serie de privilegios capaces de alejar el contrabando y a los productos extranjeros» (F. Morales Padrón, Andalucía y América,  Málaga, Editorial Arguval, 1992, p. 138).

[13] «Es justamente el período que va desde el Decreto de Libre Comercio al comienzo de las guerras revolucionarias el que señala la edad de oro de Cádiz.» (J. L. Comellas, Sevilla, Cádiz y América. El trasiego y el tráfico, Málaga, Editorial Arguval, 1992, p. 289); in questo periodo, «El apogeo del comercio gaditano llega a un gran esplendor, un esplendor jamás alcanzado ni aun en los momentos mejores de la época del monopolio.» (R. Solís, El Cádiz de las Cortes, Madrid, Silex, 1987, p. 96).

[14] Come ha notato, con altri termini, García-Baquero, a proposito della Cadice di fine Settecento: «la excelente situación de su puerto, así como la experiencia y preparación de sus comerciantes, hacían que, por el momento, no tuviese que preocuparse de la posible competencia que podían presentarle los restantes puertos españoles habilitados para el comercio colonial. (...) Basta con señalar que en el año 1792, en que las exportaciones a las colonias del puerto de Barcelona, el más importante de entre los restantes del litoral español, alcanzaron su punto culminante (55.801.565 reales de vellón), solo representaron el 15,9% de las correspondientes al puerto gaditano.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., pp. 39 e 40).

[15] Oltre all'incremento degli scambi, vi furono altri effetti dei provvedimenti di liberalizzazione come l'aumento dei traffici marittimi e delle operazioni portuali, la modifica della struttura mercantile, la nascita di una classe di commercianti di elevata professionalità, la diminuzione dei prezzi. Tuttavia, l'inizio di una fase di guerre, a cominciare da quelle in cui la Spagna fu impegnata contro l'Inghilterra, comportò l'adozione di altre misure, che favorirono l'intervento delle potenze straniere nella Carrera. L'auge della città gaditana nell'ultimo periodo del XVIII secolo, anche se negli stessi anni iniziarono a manifestarsi i primi sintomi d'instabilità nello spazio atlantico, era un dato ineliminabile della realtà spagnola, che García-Baquero ha descritto con dovizia: «Cádiz era una ciudad cosmopolita, con más de sesenta mil habitantes, lugar de cita obligatoria de todos los comerciantes, españoles y extranjeros, cuyo puerto se veía frecuentado anualmente por miles de embarcaciones. Todas las grandes firmas comerciales extranjeras, interesadas en el tráfico americano, tenían aquí establecidas casas comerciales, almacenes o factorías y en su defecto corresponsales, consignatarios o comisionistas. Era no sólo el primer puerto español de los habilitados para el comercio colonial por el volumen de sus exportaciones hacia aquellos dominios, sino también el principal centro distribuidor de los productos coloniales, tanto hacia el interior de la península, como hacia el resto del continente europeo» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 40).

[16] Cfr. A. García-Baquero González, Independencia colonial americana y pérdida de la primacía andaluza, in Historia de Andalucía, La Andalucía liberal (1778-1868), Barcelona, Cupsa Editorial - Editorial Planeta, 1980, vol. VII, pp. 117-149.

[17] Cfr. R. Solís, El Cádiz de las Cortes, cit., p. 96.

[18] P. Madoz, Diccionario Geográfico-Estadístico-Histórico de Andalucía, Valladolid-Salamanca, Ámbito y Editoriales Andaluzas Unidas, 1986, p. 136 (questo volume è una riproduzione in facsimile, con le sole voci riguardanti la regione andalusa, dell'opera di P. Madoz, Diccionario Geográfico-Estadístico-Histórico de España y sus posesiónes de Ultramar, 16 voll., Madrid, 1845-1850). Secondo García-Baquero, il 1792 fu l'anno in cui il commercio gaditano raggiunse il suo culmine:«En este año sus exportaciones sumaron 307.351.863 reales de vellón o también 348.877.117 reales de vellón según se trate de las evaluaciones hechas en función de los "avalúos" del reglamento de libre comercio o de los precios corrientes de los productos que componían el total exportado.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 128).

[19] Cfr. A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 130.

[20] J. R. Fisher, El comercio entre España e HispanoAmérica (1797-1820), Madrid, Banco de España - Servicio de Estudios, 1993, pp. 45-46.

[21] A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 36. Bernal ha ulteriormente suffragato questa periodizzazione, notando che: «los diversos indicadores (...) evidencian el hundimiento innegable del comercio colonial, pese a recuperaciones esporádicas y muy limitadas, que tuviera dicho comercio desde fines del siglo XVIII y primer cuarto del siglo XIX.» (A. M. Bernal, La financiación de la Carrera de Indias (1492-1824). Dinero y crédito en el comercio colonial español con América, cit., p. 389).

[22] A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 30.

[23] García-Baquero ha valutato due dei possibili significati delle guerre di fine secolo, considerando «las guerras de este período como el intento de Inglaterra de apoderarse del mercato colonial español o bien que la interrupción de las relaciones commerciales entre España y sus colonias no es más que una consecuencia de la guerra»; inoltre, egli ha sottolineato che, a causa degli eventi bellici, il paese si trovò a vivere «años de contracción y de crisis comerciales» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 121).

[24] Il 12 novembre del 1797, Carlo IV fu costretto, a causa dell'interruzione dei traffici provocata dalla guerra e dalla sconfitta di cabo San Vicente, a promulgare il Decreto de libre comercio con neutrales, che, per evitare di perdere i rifornimenti che provenivano dai territori d'oltremare, consentì ai commercianti spagnoli di utilizzare le navi delle nazioni neutrali nel commercio coloniale. Questo decreto, nonostante accogliesse una disposizione da considerare transitoria, rappresentò una vera e propria rottura del pacto colonial: a partire da quel momento, infatti, si avviò concretamente, prima ancora di quella politica, l'indipendenza economica dell'America spagnola, che aveva scoperto la possibilità di volgere gli scambi a proprio favore. (Cfr. P. Chaunu, Histoire de la Amerique Latine, Paris, 1967, p. 69).

[25] «En la práctica, la autorización de 1797 supuso el verdadero comercio libre para las Provincias de Ultramar. Los abusos fueron de tal índole que la medida se suspendió (1799), solo para ser restablecida con restricciones a efectos de control del tráfico (1801) y ampliada en 1805 a los puertos del Pacífico.» ( G. Céspedes del Castillo (a cura di), América Hispánica (1492-1898), cit., p. 423).

[26] In quel breve periodo di tempo le colonie si erano rese conto dell'enorme peso rappresentato, per il loro sviluppo, dal sistema monopolistico e dal pacto colonial: «En efecto, en estos años no sólo se habían visto abastecidas de los productos que hasta entonces les había suministrado la metrópoli y además a precios más ventajosos, sino que incluso había aumentado su producción y el volumen de su comercio. Ante esta evidencia resultaba lógico que se opusiesen de manera resuelta a cualquier intento de restablecer la situación anterior.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., pp. 110-111).

[27] In realtà, la flotta era comandata dall'ammiraglio John Jervis, mentre Nelson era il secondo di bordo. (Cfr. M. Bustos Rodríguez, Los siglos decisivos, in Historia de Cádiz, Madrid, Silex, 1990, vol. II, p. 189).

[28] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.196 e 2.197.

[29] Ibidem, legajo 2.243.

[30] La borghesia commerciale di Cadice, a più riprese, elevò la sua vibrata protesta nei confronti del governo spagnolo, segnalando come questi orientamenti delle colonie provocassero danni incalcolabili all'economia gaditana e fossero contrari agli interessi generali della nazione. Tuttavia, a ben vedere, queste representaciones si limitavano ad una mera difesa delle attività esistenti, al riparo dai rischi della libera iniziativa privata e della concorrenza, e denotavano la mentalità ancora chiusa e conservatrice di una categoria sociale abituata al facile arricchimento assicurato dal commercio su commissione. Questo atteggiamento della borghesia gaditana contrastava apertamente con le idee di emancipazione, che si stavano iniziando ad affermare anche a Cadice e che, nel corso dell'Ottocento, fecero di questa città, per i suoi profondi valori di libertà e di progresso, un punto di riferimento dell'intera nazione spagnola. L'ipotesi che si può avanzare, tuttavia, se non si vuole considerare unicamente il prevalere di interessi particolari e di una visione ristretta dei problemi dell'economia locale, è quella della permanenza, nella realtà gaditana, ma non solo in essa, di una mescolanza di teorie e convinzioni, che consentiva la coesistenza di una impostazione di tipo liberista nel commercio interno con un'altra di tipo protezionista in quello estero.

[31] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajo 2.197. I due valori distinti in reales de vellón sono sempre da riferirsi alle stime effettuate in base, rispettivamente, alle valutazioni del Reglamento de libre comercio o ai prezzi correnti delle merci esportate.

[32] Secondo altri dati disponibili presso l'Archivo General de Indias (A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajo 2.243): le importazioni di prodotti coloniali, nel 1798, diminuirono del 71,5% - scendendo a 7.546 quintali - e, nel 1799, aumentarono del 526%, rispetto all'anno precedente; le importazioni di capitali furono pari, nel 1798, a 29.568 pesos fuertes e, nel 1799, a 30.567 pesos fuertes.

[33] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.198 e 2.244; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folio 229. Tra il 1797 e il 1801, il volume totale delle esportazioni fu di 145.500.020 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base al Reglamento de libre comercio, o di 169.675.785 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base ai prezzi correnti delle merci esportate da Cadice; le importazioni di merci coloniali ammontarono a 133.764 quintali e le importazioni di capitali a 208.608 pesos fuertes: il complesso delle esportazioni di questi cinque anni fu pari al 74%, según reglamento, o al 75%, según precios, di quelle del solo anno 1796.

[34] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajo 2.199; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 229-235.

[35] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.200, 2.201 e 2.202; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 235-240.

[36] A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 177. García-Baquero, nello stesso volume (p. 179), ha osservato che: «Las condiciones adversas en que se desenvolvieron las relaciones comerciales con las colonias (...) se complicaron aún más (...) cuando comenzaron a sentirse en realidad las consecuencias de la derrota naval de Trafalgar. (...) A partir de estos momentos las relaciones de España con sus establecimientos ultramarinos quedan prácticamente cortadas, ya que no disponía de una marina de guerra que le permitiese proteger su comercio ni acudir en ayuda de aquellas provincias en caso de necesidad».

[37] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.203 e 2.250; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 240-244. Tra il 1802 e il 1807, il volume totale delle esportazioni fu di 682.240.959 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base al Reglamento de libre comercio, o di 780.777.115 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base ai prezzi correnti delle merci esportate da Cadice; le importazioni di merci coloniali ammontarono a 1.292.419 quintali e i capitali giunti alla Depositaría de Indias furono pari a 77.429.822 pesos fuertes e 11 reales.

[38] A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 186.

[39] Infatti, grazie al sistema delle licenze commerciali e al mantenimento delle relazioni con Gibilterra, come con altri centri vitali dei traffici, Cadice non vide scomparire del tutto le proprie attività commerciali, conservando la possibilità di far giungere gli approvvigionamenti essenziali in città e di rifornire a sua volta altri mercati, compreso quello inglese. (Cfr. F. Crouzet, L'économie britannique et le blocus continental (1806-1813), Paris, Presses Universitaires de France, 1958, vol. I, pp. 173-174).

[40] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.203 e 2.250; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folio 244. Come è stato notato: «El comercio gaditano atravesaba una aguda crisis, ya que si bien las exportaciones habían dado ciertos síntomas de reanimación, sin embargo las importaciones se mantenían dentro de la tónica de mediocridad de los tres últimos años.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 193).

[41] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.204 e 2.205; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 244-245.

[42] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.204, 2.205 e 2.251; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 245-251.

[43] R. Solís, El Cádiz de las Cortes, cit., p. 114.

[44] «En el capítulo de pérdidas sufridas por el comercio gaditano (...), a las provocadas por los gastos que suponía el mantenimiento de la guarnición, donativos, contribuciones extraordinarias y préstamos hechos al gobierno de la nación, había que agregar las que produjo la desvalorización de los vales reales. Estos, entre 1801 y 1807, habían perdido la mitad de su valor, usándose solo para cobrar los premios que por ellos se pagaban. A partir de 1808 y como consecuencia de la invasión francesa, los premios dejaron de pagarse y en concepto de tales premios Cádiz perdió, solo en este año, por el total de vales existentes en la ciudad que eran 1.889.967.152 reales, la cantidad de 25.199.562 reales.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 193).

[45] La prosperità gaditana di quel periodo era, come è stato sottolineato, «una prosperidad artificial», infatti: «El comercio con Indias se había reducido por aquellas fechas a la cuarta parte, pero hay que tener en cuenta que esa cuarta parte de los beneficios se quedaba íntegramente en Cádiz, pues no tenía posibilidad de desparramarse por el resto de la Península.» (J. L. Comellas, Sevilla, Cádiz y América. El trasiego y el tráfico, cit., p. 307).

[46] A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.204, 2.205, 2.251 e 2.252; A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 251-254. Tra il 1808 e il 1811, il volume totale delle esportazioni fu di 300.256.624 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base al Reglamento de libre comercio, o di 349.067.812 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base ai prezzi correnti delle merci esportate da Cadice; i capitali giunti alla Depositaría de Indias, a tutto il 1812, furono pari a 73.424.788 pesos fuertes.

[47] A partire da allora e fino al 1814, le uniche serie disponibili sono quelle relative alle importazioni di capitali, che, da soli, non costituiscono un indicatore significativo dell'economia e del commercio di Cadice. In ogni caso, in quell'anno, le rimesse di capitali si limitarono a 3.332.967 pesos fuertes. (A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 254-255).

[48] A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 214.

[49] Le rimesse di capitali dall'America, unico dato certo per tutto il periodo, furono pari: a 7.055.752 pesos fuertes nel 1813; a 13.293.265 pesos fuertes nel 1814; a 3.817.244 pesos fuertes nel 1815; a 1.688.320 pesos fuertes nel 1816; a 4.155.544 pesos fuertes nel 1817; a 2.003.835 pesos fuertes nel 1818; e, infine, a 372.885 pesos fuertes nel 1819. (A.G.P., Sección de «Protocolo Real», libro 69, folios 255-260). Le serie relative alle esportazioni riprendono nel 1815, quando questa voce raggiunse il valore di 75.593.655 (o di 87.369.044) reales de vellón; anche per le importazioni di prodotti coloniali, è in questo anno che si ricominciano ad avere notizie, dalle quali si desume un andamento pari a circa il 60% degli anni considerati di normalità; nel 1816 le esportazioni da Cadice furono pari a 70.297.158 (o 81.127.084) reales de vellón; mentre le importazioni di merci coloniali aumentarono, rispetto all'anno precedente, di circa il 35%, in media. (A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.206, 2.254 e 2.255; Cfr. A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 224).

[50] L'inizio di una fase di inarrestabile declino è stato descritto da García-Baquero: «A partir de 1817, la actividad del puerto gaditano irá disminuyendo paulatinamente hasta llegar a una casi total paralización en 1828, para la cual se intentó buscar remedio en la franquicia de su puerto (...). El comercio gaditano estaba orientado de forma especialísima hacia el intercambio con las colonias, de modo que, sin estas, cualquier solución que se ensayase, estaba condenada al fracaso.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 228). Nel 1817 le esportazioni discesero a 48.577.533 (o 55.580.228) reales de vellón e le importazioni di prodotti delle colonie diminuirono, rispetto all'anno precedente, di circa il 21%, in media; nel 1818 le esportazioni risalirono a 68.472.219 (o 76.750.156) reales de vellón, mentre le importazioni di merci coloniali subirono un'ulteriore diminuzione, pari, mediamente, a circa il 52%; nel 1819 le esportazioni discesero nuovamente a 60.161.096 (o 68.362.383) reales de vellón. (A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajos 2.207, 2.208 e 2.256).

[51] Le esportazioni toccarono la cifra di 118.609.247 (o di 128.468.524) reales de vellón; tuttavia, dopo poco tempo, il porto gaditano versò di nuovo in una condizione di completa crisi commerciale: nel 1821, infatti, le esportazioni crollarono a 49.232.115 (o 53.002.235) reales de vellón. (A.G.I., Sección de «Indiferente General», legajo 2.208). Il volume totale delle esportazioni, tra il 1815 e il 1821, fu di 490.943.023 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base al Reglamento de libre comercio, o di 550.659.654 reales de vellón, secondo le stime effettuate in base ai prezzi correnti delle merci esportate da Cadice; i capitali importati a Cadice, tra il 1813 e il 1819, furono pari a 32.386.845 pesos fuertes.

[52] Le esportazioni da Cadice verso l'America diminuirono notevolmente nel terzo decennio dell'Ottocento, stabilendosi su una media annuale di 78,5 milioni di reales, rispetto ai 265,9 milioni di reales della fine del decennio iniziato nel 1780. (Cfr. P. Tedde de Lorca, Sobre los orígines históricos del subdesarrollo andaluz: algunas hipótesis, in La modernización económica de España 1830-1890, a cura di N. Sánchez-Albornoz, Madrid, Alianza Editorial, 1985, p. 302).

[53] L'andamento demografico di Cadice comincia a subire un'inversione verso la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, in contemporanea con il declino dei traffici coloniali e a causa della ripresa delle epidemie di febbre gialla. Il registro della popolazione del 1801 mostra una sensibile riduzione del numero di abitanti, che divennero 57.837. Mentre nel 1804 la recrudescenza delle epidemie colpì i gaditani, che diminuirono ancora, fino ad arrivare al numero di 54.899, durante il periodo de las Cortes (1810-1813) Cadice conobbe una nuova crescita demografica, raggiungendo i 100.000 abitanti, dei quali, però, secondo quanto riportato da alcuni studiosi, il 50% erano forestieri. (Cfr. A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 91). Solís conferma questa stima, scrivendo che: «Difícil es calcular la población de Cádiz en los años del sitio, pero puede afirmarse, sin género de dudas, que rebasó la cifra de 100.000 almas. Por tanto, el número de forasteros llegó a alcanzar los 50.000» (R. Solís, El Cádiz de las Cortes, cit., p. 79).

[54] Cfr. P. Tedde de Lorca, Sobre los orígines históricos del subdesarrollo andaluz: algunas hipótesis, in La modernización económica de España 1830-1890, a cura di N. Sánchez-Albornoz, Madrid, Alianza Editorial, 1985, p. 302; cfr. anche J. L. Comellas, Sevilla, Cádiz y América. El trasiego y el tráfico, cit., p. 312.

[55] Per la fase successiva, disponiamo dei dati di Moreau de Jonnes, secondo il quale nel 1828 il commercio gaditano vide ridursi le esportazioni a 4.976.000 reales de vellón e le importazioni a 8.924.000 reales de vellón. (Cfr. A. Moreau de Jonnes, Estadística de España, Barcelona, 1835, p. 243).

[56] La Spagna, dopo quella data, mantenne sotto il suo dominio coloniale in America solo le due isole di Cuba e Portorico.

[57] Nell'Archivo Histórico "González de la Sierra" (A.H.G.S., Sección de «Prensa», Serie de «Periódicos», carpeta  O-2.1, 1866-1883), è possibile rinvenire copia di una rivista , che si pubblicava nella seconda metà del XIX secolo, il cui nome "El eco de ambos mundos" rimanda ancora a questa definizione dei due continenti e dei relativi territori.

[58] Come si è visto, le guerre marittime sostenute da Carlo IV contro l'Inghilterra provocarono l'interruzione degli scambi con le colonie e l'annientamento della flotta navale spagnola: la scelta, quindi, di aprire i porti d'oltremare al commercio con i paesi stranieri, causata dalla necessità di garantire l'approvvigionamento dei territori americani, ebbe come effetto la fine del sistema monopolistico e del cosiddetto "pacto colonial". La guerra d'Indipendenza fu accompagnata dalla diminuzione della produzione agricola e industriale interna, che, a sua volta, determinò una riduzione assoluta delle esportazioni spagnole; inoltre, lo stato di incertezza del porto gaditano, assediato da terra dalle truppe francesi, fu motivo di fuga dalla città di un buon numero di commercianti nazionali e stranieri. L'indipendenza americana, infine, rappresentò, con la perdita del principale mercato di approvvigionamento e di sbocco per Cadice, la definitiva conclusione del periodo di auge gaditana.

[59] A proposito dell'esperienza specifica di Cadice, si è osservato che: «no resulta extraño que aquí, como en otros núcleos mercantiles de Europa, nobleza y negocios fueran compatibles, a pesar de los impedimentos que los puristas del orden estamental pretendieran alegar al respecto» (M. Bustos Rodríguez, Los siglos decisivos, cit., p. 44).

[60] La sfasatura dei tempi non era un fattore secondario di crisi, anche di fronte a scelte economiche corrette; infatti, come è stato scritto, a proposito della franchigia del porto gaditano: «El librecambismo pudo ser útil en otro tiempo, no cuando España, arruinada, no tenía dinero para comprar ni productos que vender.» (A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 253).

[61] Nel periodo de las Cortes de Cádiz, fu decisa la soppressione di tutte le proibizioni e le privative, ma questo atto ebbe breve durata, in quanto, al termine della guerra d'Indipendenza, Ferdinando VII ristabilì il sistema precedentemente operante. Durante il triennio costituzionale, poi, il governo, eccedendo in una pratica di liberismo ad oltranza, condusse la Spagna in una situazione di grande disordine economico, favorendo un rapido ritorno al sistema protezionistico, cosa che avvenne nel 1826.

[62] A. García-Baquero González, Comercio colonial y guerras revolucionarias. La decadencia económica de Cádiz a raíz de la emancipación americana, cit., p. 254.

[63] Questo aspetto delle vicende di Cadice può essere opportunamente confrontato con le analogie presenti nell'esperienza di un'altra fondamentale città commerciale europea, come Amburgo. (Cfr. S. Marzagalli, Amburgo in età napoleonica. Aspetti e problemi di una città mercantile durante il blocco continentale, in "Ricerche storiche", anno XXI, n. 1, gennaio-aprile 1991, pp. 48-49 e segg.).

[64] «La burguesía propia, constituida por comerciantes al por mayor con almacén cerrado, o sea eliminando los simples tenderos, y sobre todo por fabricantes, solamente se dio (...) en algunos lugares característicos. Uno de ellos es Cádiz, emporio de los grandes comerciantes nacionales y extranjeros; otro es Barcelona, la única ciudad donde se asiste al desarrollo de una burguesía industrial específica.» (J. Vicens Vives, Manual de historia económica de España, Barcelona, Editorial Vicens-Vives, 1967, p. 453).

[65] J. Fontana, Las burguesías, relazione dattiloscritta, presentata al convegno su "Tendenze e orientamenti della storiografia spagnola contemporanea", a cura dell'Università degli Studi della Repubblica di San Marino, del Dipartimento di Storia della Scuola Superiore di Studi Storici e della Real Academia de la Historia de España di Madrid, San Marino, 21-24 aprile 1993, p. 11.

[66] Bernal, constatando che sono «muy escasos los estudios disponibles sobre contabilidades mercantiles», ha sostenuto la necessità di dedicare una speciale attenzione a «las fuentes privadas», giungendo alla conclusione che «por la propia naturaleza del negocio mercantil (...), habrían de ser las contabilidades y el análisis microeconómico los que mejor posibilitan un conocimiento efectivo del tema en cuestión; máxime si de lo que se trata es de conocer, en síntesis, las opciones que en cada momento determinaban la relación costes-beneficios.» (A. M. Bernal, La financiación de la Carrera de Indias (1492-1824). Dinero y crédito en el comercio colonial español con América, cit., p. 353).

[67] Egli non avrebbe mai immaginato che da un piccolo negozio di generi alimentari, la tienda aperta nella plaza Bizencio dopo il suo arrivo da Santander nel 1730, sarebbe partita la storia di un'impresa di notevole importanza, che «durante casi tres siglos iba a tener una gran participación en toda la vida de la ciudad» (Tabacalera S. A., una de las empresas más antiguas al servicio de Cádiz, in "Diario de Cádiz", 16 giugno 1985, p. 2).

[68] La denominazione dell'azienda commerciale gaditana subì diversi mutamenti, in relazione all'evoluzione della compagine societaria, passando da quella di "Almacén de Agüera y Compañía", adottata nel 1770, a quella di "Herederos de Ydoeta, de Sierra y Compañía" (1828) e di "Francisco González de la Sierra y Compañía" (1840). All'atto della formazione della nuova compañía, il 12 giugno 1770, il capitale dell'Almacén de Agüera era pari, nel complesso, a 64.000 reales de plata. (A.H.G.S., Sección de «Contabilidad oficial de la empresa», Serie de «Libros Diarios», libro 2.2.166).

[69] Nell'inventario del centro di distribuzione (almacén) più importante dell'azienda - effettuato il 30 giugno 1771 (A.H.G.S., Sección de «Contabilidad oficial de la empresa», Serie de «Libros Diarios», libro 2.2.167) - risulta che i generi disponibili nel magazzino erano di diverso tipo (in parte, artículos del Reino e, in parte considerevole, artículos de Ultramar) e non tutti alimentari: amido (almidón), candele di sego (velas de sebo), carta di vario genere (papel cortado, hordinario, de estraza, blanquete, blanco) cucchiai (cucharas), paglia (paxuela), semi (pipas), lardo (tocino), archiote, baccalà (bacallao), cannella (canela), chiodi di garofano (clabo de comer), cotone (algodón), pepe (pimienta), zucchero (azúcar), ceci (garbanzos), comino (cominos), fagioli (frixones), nocciole (abellanas), olio (azeyte), riso (arroz), vino (vino), zafferano (azafrán). Negli anni successivi, fino al primo trentennio del XIX secolo, a questi articoli si sarebbero aggiunte man mano altre fondamentali derrate d'importazione, come: aringhe (arencones), lavanda (aluzema), anice (matalauga), cacao (cacao Guayaquil), caffè (café), coriandolo (culantro), formaggio di Fiandra (queso de Flandes), lenticchie (lentexas), mandorle (almendras), nuovi tipi di carta (papel azul, fino, ecc.), origano (orégano), piselli (chicharos), salmone (salmón), sesamo (axonxoli), strutto (manteca). Il caffè fu registrato nella contabilità, per la prima volta, solo nel 1785; mentre il cacao apparve ancora più tardi, precisamente nel 1806.

[70] F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII). I giochi dello scambio, Torino, Einaudi, 1981, p. 171.

[71] Tabacalera S. A., una de las empresas más antiguas al servicio de Cádiz, cit., p. 2.

[72] A.H.G.S., Sección de «Contabilidad oficial de la empresa», Serie de «Libros Diarios», libro 2.2.167.

[73] Tuttavia, in questi anni, fu registrata una importante novità nel commercio di due prodotti, il vino e l'aceto, che divennero, per la prima volta, oggetto di una partecipazione diretta agli scambi internazionali da parte dell'impresa gaditana.

[74] Nel 1796 Juan Joseph Bolívar de Ydoeta, «por su propio derecho, y por el de su casa de comercio titulada Almacén de Agüera y Cía», Pedro de Agüera e Joaquín Vélez de Cosío avevano dato vita, a Jerez de la Frontera, alla società che raccoglieva e unificava due iniziative avviate in precedenza nel settore della compravendita di generi alimentari. L'atto di fondazione della nuova compañía prevedeva il versamento, da parte di ciascuno dei soci, di un capitale pari a «trescientos quatro mil noventa reales once maravedís, y una tercera parte de otro vellón»; inoltre, stabiliva, anziché la solita durata illimitata della società, «su duración por solo el tiempo que sea la voluntad de los tres socios» (A.H.G.S., Sección de «Documentación particular, notarial y judicial», Serie de «Compañías», carpeta A-2, Escritura pública de una Compañía constituida entre D. Pedro de Agüera, D. Joaquín Vélez de Cosío y D. Juan Josef Bolívar Ydoeta, Jerez de la Frontera, 1 giugno 1798).

[75] Tabacalera S. A., una de las empresas más antiguas al servicio de Cádiz, cit., p. 2. Le isole di Barlovento formano un arcipelago delle Piccole Antille, conosciuto appunto col nome di "Isole di Sopravvento" (oggi,Windward Islands).

[76] A.H.G.S., Sección de «Contabilidad oficial de la empresa», Serie de «Libros Diarios», libro 2.2.167.

[77] Ibidem.

[78] La nuova unità era il real de vellón: un real de plata de a diez y seis cuartos era pari a circa 1,8 reales de vellón.

[79] A.H.G.S., Sección de «Contabilidad oficial de la empresa», Serie de «Libros Diarios», libro 2.2.167.

[80] I dati sono stati ricavati, essenzialmente, da due libri giornale, quello relativo al periodo 1766-1822 e quello relativo al periodo 1822-1828.

[81] Dal giugno 1771 al giugno 1783, gli utili furono divisi secondo la proporzione della metà, per gli eredi de Agüera, e di un quarto ciascuno, per Joseph González de la Sierra e Joseph de Ydoeta; dall'ottobre 1785 al luglio 1814, gli utili andarono agli eredi de Agüera, per la metà, alla vedova e ai fratelli de la Sierra, per un quarto, e a Joseph de Ydoeta, per un altro quarto; dal novembre 1822 al giugno 1828, gli utili furono assegnati agli eredi di Joseph de Agüera, per la metà, agli eredi di Joseph González e di Rosa Pérez de la Sierra, per un quarto, e agli eredi di Joseph de Ydoeta, per un quarto. (A.H.G.S., Sección de «Contabilidad oficial de la empresa», Serie de «Libros Diarios», libros 2.2.166, 2.2.174).







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ISSN: 1699-7778



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